Di tutto un po'.

A di Aprimi.

Mi dispiace per mia madre. Sembra strano che io lo dica, lo so e vi ho già assillato abbastanza con i miei difficili rapporti familiari, ma è un pensiero che mi ha attraversato la mente questa sera a cena. Avevo bisogno dell’olio e non riuscivo a raggiungerlo, perciò ho chiesto:”Potete passarmi l’olio?” Mia madre ha alzato lo sguardo dal piatto, ha osservato intensamente l’olio e non ha mosso un dito per porgermelo e il silenzio si è protratto fino a che mia nonna non si è allungata e mi ha passato l’olio.

E in quel momento ho pensato che mi dispiaceva. Perchè molto probabilmente soffre anche lei, solo che pur di ammetterlo si farebbe tagliare la lingua con una motosega. Soffre perchè non ha la figlia che vorrebbe, quella figlia che incarni i suoi più alti ideali. La figlia giusta per lei. E non ce l’ha. Nulla è come se l’è immaginato e, anche se non sono madre, posso intuire il suo disappunto. Lo vedo nei suoi occhi e mi scava l’anima come una grattuggia lo farebbe col formaggio. Chissà quante speranze riponeva in me e chissà quante delusioni le ho dato. E mi dispiace di questo.
Nonostante ciò, penso che col tempo il disappunto e la delusione sbiadiranno. Troverà sempre un motivo perchè le ceneri prendano nuovamente fuoco, non mi aspetto nulla di diverso da parte sua, ma col tempo ci farà meno caso, tutta presa da suo figlio e dalla sua vita. Io passerò in secondo piano, ancor più di quanto lo sia ora, e per lei farà meno male.
Io però? Puoi sentirti completa perchè hai di fianco l’anima gemella o dei figli. Li guardi, sorridi, cerchi di essere una buona madre, una buona moglie o compagna, però c’è quel vuoto, quel pezzo mancante di un puzzle ormai vecchio e impolverato. Fai finta che non ti importi, fingi di essere una dura, senza crepe, senza ombre, ma è tutto lì, nascosto sotto una maschera pesante ed asfissiante. Perchè tutto l’amore che potrai ricevere al mondo non sarà mai come quello di una madre, non vedrai mai quella luce di orgoglio materno nei suoi occhi marroni, vedrai solo un muro, impenetrabile e oscuro.

Mi dispiace. Ti prego. Aprimi.

Di tutto un po'.

G di Guerra di logoramento.

“Volete che io faccia l’università? Va bene! La farò!”

Questo ho pensato quando è terminata la telefonata con mio zio.

Volete che studi per cinque anni Lettere o Storia? O magari potrei continuare con le lingue che sono così belle e utili? Va bene. Lo farò.

Perchè è un peccato che io non continui gli studi, perchè così avrò una base solida su cui poter costruire la mia vita futura, la mia indipendenza. Sembra tutto così semplice. Sei ancora in tempo. Devi studiare quando sei ancora giovane e hai le forze e la testa per farlo. Puoi ancora iscriverti a gennaio. Saresti una “babba” se lo non facessi. Se parliamo di una babba natale ci sto, però. Devi seguire la tua passione e trasformarla in un lavoro. Le passioni sono meravigliose, ma non ci si mangia. L’importante è che tu faccia un lavoro che ti piace e questo obbiettivo lo puoi raggiungere solo facendo l’università. Quindi ti iscriverai a gennaio, vero? In realtà no. Ma vuoi ridurti a fare questi lavori così, che ti mandano in culo ai lupi come dici tu per poco? Se tu avessi una laurea non ti abbasseresti a fare questo lavoro. Ne troveresti uno adatto a te. Ho visto un sacco di gente laureata che ora lavora al McDonald’s. Ma quello che c’entra? Quella è gente che non si è saputa vendere, non ha saputo utilizzare bene la laurea che ha preso. Io penso dipenda dal mercato del lavoro. Una laurea in Italia non vale niente. Ma questo non c’entra niente. Io penso che c’entri invece. Dove pensi di andare senza una laurea? Pensi che passare la vita a vendere MoveBox sia il lavoro dei tuoi sogni? Ovvio che non è il lavoro della mia vita. Se lo faccio è per poter mettere qualcosa da parte e per poter aiutare la mia famiglia economicamente. Da qualche parte bisognerà pur iniziare. Io non ho avuto la fortuna di Alessandro (mio cugino) e di trovare un’azienda che mi assumesse sotto casa.

Che poi dopo una laurea di cinque anni in Lettere o in Storia dove credi che finirei? A fare l’insegnante. Precario ovviamente. E non è questo quello che voglio per me. Io non ho ancora capito cosa tu voglia fare. Perchè dalla mia famiglia non posso avere appoggio invece che demolizione? Penso che fare la pasticcera sia quello che voglio e invece di appoggiarmi in questa scelta mi demolite. A me più che altro sembrava un ripiego, ma se questo è il tuo sogno va bene. *Momento di silenzio attonito*

*Risata all’altro capo del telefono* E pensare che avevo detto che non te ne avrei più parlato. E invece… Già. Va bene dai. Ci sentiamo. Ciao. Ciao.

Click.

Letteratura spazzatura

Twilight, ma senza i lunghi canini.

copertina def_Uno splendido disatro

Lui è il tipico ragazzo ribelle e dal passato tormentato. Pieno di tatuaggi e con una Harley, è il campione dell’università in quanto a incontri di box segreti e voti stratosferici in biologia. Ogni sera ha una ragazza diversa a scaldargli il divano.

Lei è la tipica ragazza per bene anche se, a quanto pare, nasconde un “oscuro” segreto.  Si veste con i cardigan rosa, cerca di andare bene a scuola e di passare inosservata.

Si incontrano. Lei fa un fioretto e decide che non deve cedere al fascino di questo bel giovane, mentre lui decide che lei diventerà la sua migliore amica cosa che, a quanto pare, desta scalpore all’interno dell’università, in quanto tutti pensano che i due scopino come ricci. Diventano ottimi amici, ma ovviamente covano una passione amorosa repressa.

Una volta che questa passione esplode, saltando tutta la parte del “non verrò mai a letto con te”, lei si scontra con la vena possessiva del tipo che picchia chiunque la guardi, a meno che non sia omosessuale. Lui diventa improvvisamente monogamo, disdegna qualsiasi altra ragazza e non ha occhi che per lei, che riesce a calmare la sua natura rabbiosa. (Secondo me queste scrittrici hanno tutte la sindrome dell’infermiera, se così si chiama, o hanno letto troppo Dante e pensano che la donna elevi la condizione dell’uomo)

Tira e molla, molla e tira eccoci verso il finale. Pianti, urla, strepiti e alla fine si giurano amore eterno.

Vi chiederete perchè io abbia deciso di leggerlo se fa così cagare. La colpa è tutta di quella parte del mio cervello che cerca l’happy ending nelle storie amorose. Sta tutto lì. Dalla trama sembrava carino, mi ero presa bene e poi la delusione totale. E pensare che McGuire ha scritto pure il seguito e che la Warner Bros ha deciso di farci un film.

L’unica cosa divertente di tutto il libro è che lui (Travis) chiama la ragazza (Abby) Pigeon, ovvero “piccione” in inglese. Chi non chiamerebbe così la donna della sua vita?

Di tutto un po'.

A di Autoritratto.

C’era una ragazza oggi in metro. Aveva in mano un libro dal titolo impegnato, ma dopo alcuni secondi mi accorsi che non stava leggendo davvero. I suoi occhi, talmente tristi che avrebbero ucciso di dolore chiunque ne avesse incrociato lo sguardo, erano fermi sullo stesso punto da troppo tempo. La piega amara delle labbra sembrava chiedere quando tutto quel dolore sarebbe scomparso. Avrebbe avuto la forza di sorridere di nuovo? Ne sarebbe valsa la pena? Le sue labbra gridavano di no. Sembrava nascondersi nella sciarpa, come fosse uno scudo contro il mondo. Le mani che reggevano il libro iniziarono a tremare come se la sofferenza accumulata stesse cercando un modo per uscire. Ha chiuso il libro con uno scatto nervoso, intrecciando le dita. Il tremore, però, si era solo attenuato. Si è guardata intorno per alcuni secondi, come a sincerarsi che nessuno avesse notato quell’improvvisa perdita di controllo. Ha abbassato lo sguardo sulla borsa blu che teneva in grembo, ma non ho potuto non notare l’improvvisa contrazione del suo viso. Proprio mentre pensavo “Non vorrà mica piangere davanti a così tanta gente” il dolore è sgorgato dai suoi occhi azzurri inondando il viso pallido di calde lacrime. Pensavo che qualcuno si sarebbe accorto e si sarebbe avvicinato per capire quale fosse il problema, ma nessuno lo fece perchè nessuno si accorse di nulla. Lei è rimasta immobile, non si è asciugata il viso. Ha stretto le labbra per non far scappare neanche un singhiozzo, nonostante le spalle fossero scosse da quei singulti muti. Ciò che mutò durante quel pianto muto fu il suo naso. Da pallido divenne rosso e grande, come quello dei clown.

Ad un certo punto si è come scossa dal torpore del suo dolore, è uscita dal suo guscio ed ha iniziato a rovistare nella borsa. Le lacrime iniziavano a seccarsi sulle guance, come le scie lasciate dalle lumache sull’erba. Immaginai che cercasse un fazzoletto per recuperare il contegno perduto, invece frugò fino a trovare un pezzo di carta ed una penna. Non ci crederete, ma iniziò a scrivere.

Angolo della cattiveria

Vi rode il culo se non mi piace?

Non mi piace Picasso. Pablo non te ne avere a male. Io ho un atteggiamento istintivo in tutti i campi e quindi anche nell’arte. Se un’opera d’arte non mi fa venire la pelle d’oca a prescindere, puoi anche averla dipinta tu Pablo e averci passato gli anni, ma niente. Questo è successo quando ho visto “Guernica”. Abbiamo studiato la tua tecnica pittorica Pablo, il messaggio che volevi trasmettere insieme a Braque. Mi immagino lo sbattimento nel cercare di rendere tutti gli oggetti o le persone presenti nei tuoi quadri da tutte le possibili prospettive. [Anche se nell’opera sovraccitata il cubismo viene utilizzato soltanto per rendere la distruzione dovuta al bombardamento tedesco sulla città spagnola]

Sicuramente c’è stato un sacco di lavoro dietro ogni opera, ma quando ho guardato “Guernica”, dopo l’iniziale momento di disorientamento dovuto al capire cosa era cosa e chi era chi, non ci sono stati i brividini. Nulla toglie che obbiettivamente Picasso sia uno che spacca i culi, fondatore del Cubismo che ha influenzato la maggior parte delle avanguardie che si sono alternate negli anni successivi. Ma l’obbiettività non c’entra un cazzo col gusto personale. Ne converrete.

Ho letto “Orgoglio e Pregiudizio”, ma non mi è piaciuto. Nulla contro di te Jane ovviamente. Hai tutta la mia stima per essere stata una scrittrice in un tempo storico in cui la donna non era considerata rilevante all’interno della società. Il libro credo che non superi le 400 pagine e per una persona che legge spesso e volentieri non sono tante. In tre giorni l’avrei finito. Ci ho impiegato un mese e quando ho finito ho tirato un sospiro di sollievo. Se ricordo la storia è perchè ho voluto punirmi vedendo la trasposizione cinematografica, quella con Keira Knightley, perchè se no sarebbe rimasto un buco nero nella mia esistenza.

Non mi piace la cioccolata. Nel senso che se mi proponete una torta al cioccolato sarei molto felice di mangiarla, ma non capisco la gente che mangia il cioccolato così, spezzando le tavolette. Seguendo questo filone non impazzisco neanche per la nutella. Certo che ho mangiato pane e nutella, per chi mi avete presa? Ma passano settimane e settimane senza che io mangi la nutella e, vi giuro, riesco a vivere. So che nel cioccolato c’è la serotonina e quindi vi sentite più felici, ma io, sinceramente non ci riesco. A pensare di mangiare il cioccolato così mi viene un conato.

Vi chiederete perchè ho scritto questo post. A parte il fatto che non avevo nulla da fare, l’ho scritto perchè mi dà fastidio la gente che ti giudica in base a quello che non ti piace perchè ci sono cose che ti devono piacere indipendentemente da tutto. E mi dà ancora più fastidio quando la gente sostiene che tu non sia sensibile solo perchè non ti piace Picasso. Davvero, ma quante pippe vi fate? Ma il detto “Ognuno per sè e Dio per tutti” non lo osserva più nessuno? Ma forse perchè l’anonimato ci spinge ad essere più cattivi. Sarà questo, sarà che non abbiamo un cazzo da fare in questa vita e che siamo sessualmente frustrati e quindi la gente si arroga il diritto di giudicare, alla cieca, per avere un’eiaculazione soddisfacente, se così le trovate. Perciò fatevi i cazzi vostri e non rompete le palle a me e alla mia possibile e nascosta sensibilità.

Grazie.

 

 

 

Pasticciando in cucina.

Pasticciamo insieme.

In questa mattina noiosa e priva di attrattive voglio condividere con voi una ricetta molto semplice e veloce per una torta al cioccolato soffice e gustosissima.

Inziamo con gli ingredienti:

– 200 grammi di farina;

– 200 grammi di zucchero;

– 100 grammi di cioccolato fondente;

– 50 grammi di cacao in polvere (Nonostante quello che dice la ricetta potete semplicemente evitare di comprare il cacao, nel caso non l’abbiate in casa e aggiungere 50 grammi di cioccolato in più per dare comunque colore alla torta. Ed è quello che ho fatto io, dato le mie magre finanze);

– 5 uova;

– 1/2 bustina di lievito in polvere (nel caso vi capitasse di metterne una intera posso rassicurarvi dicendo che non succede nulla, dato che è quello che è successo a me);

– 50 ml di latte;

– 1 pizzico di sale;

– 200 grammi di burro (nel caso foste dei salutisti e preferireste ridurre la quantità di burro, potete ottenere l’effetto soffice e morbidosa anche con 150 grammi di burro);

Finiti gli ingredienti corriamo verso il procedimento!

In una ciotola dovete sbattere il burro e lo zucchero assieme fino a che non otterrete un composto amalgamato. Nella ricetta consigliano di utilizzare una frusta, ma in questa fase utilizzare una frusta è qualcosa che io caldamente vi sconsiglio in quanto il burro si appiccica tutto sulla frusta rendendo difficile amalgamare i componenti. Potete decidere di sciogliere il cioccolato prima di tutto ciò, durante o mentre unite all’impasto burro + zucchero le uova, una alla volta. Dopo aver incorporato tutte le uova, aggiungete pure il cioccolato e un pizzico di sale. A questo punto va aggiunta la farina, il lievito e il cacao nel caso vogliate utilizzarlo. Vi consiglio caldamente di setacciare il tutto, per evitare che nella farina ci sia qualcosa di sgradevole che preferireste non trovare nella torta. A questo punto si rende necessario utilizzare la frusta in modo da poter mescolare in maniera veloce e precisa. A questo punto aggiungiamo al composto ottenuto 50 grammi di latte e la nostra torta è pronta. Quando siete nelle ultime fasi del procedimento vi consiglio di cominciare ad accendere il forno che deve raggiungere una temperatura di 180°. In qualsiasi teglia decidiate di mettere la vostra torta dovete imburrarla e infarinarla bene in modo tale che poi possa staccarsi agilmente per essere servita. Una volta che il forno ha raggiunto la temperatura richiesta la torta deve cuocere per un’ora circa. Dopo mezz’ora impostate il forno su “ventilato” in modo tale che la cottura sia più omogenea possibile. Per controllare se la cottura ha raggiunto anche l’interno provare con uno stuzzicadenti lungo. Se, una volta inserito, lo stuzzicadenti risulta asciutto vuol dire che la cottura può avere fine.

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Leggilo!

Letture delicate.

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“Certa gente nasconde in fondo al cuore tutto il dolore di una vita e lo lascia marcire fino a produrre il pus. Una specie di cancrena dell’anima. Quella piaga arriva persino a piacergli. Ma a un certo punto comincia a ribollire e si sente l’odore da fuori. Poi ci sono gli altri, che non hanno mai fatto niente di male. I cosiddetti innocenti. E forse gli è stato inflitto un grave torto. Forse peggiore di quello che possiamo immaginare. Eppure, per chissà quale ragione, loro prendono quel torto e non lo nascondono in fondo al cuore. Non lo tengono stretto. Lo liberano all’esterno per non rimanerne contagiati. E come fosse una nebbia, il male si libra nell’aria ed evapora perchè non ha più un posto da chiamare casa. E a quel punto nel loro cuore comincia a ribollire qualcos’altro, ed è quello che gli offrono gli altri. Non so dirvi cosa mi sussurrò quella ragazzina all’orecchio. Non sono sicuro che fossi lì ad ascoltare. Forse ero già lontano. So solo che quando lo fece, una crepa lacerò l’universo e al suo posto del male che cercava disperatamente di tenermi lontano, arrivò qualcos’altro a tirarmi indietro. Una specie di tiro alla fune. E il male ne uscì sconfitto. Una bella sensazione.”

Di tutto un po'.

Lettera ad una famiglia mai stata.

Cara famiglia,

vi scrivo questa lettera che non leggerete mai e facendolo mi sento molto Kafka, ma non divaghiamo. Vi scrivo perchè di parole urlate ne sono già state dette abbastanza e vorrei evitare un altro mal di testa. Riflettendo mi sono resa conto che non ho ricordi positivi della nostra vita insieme. Immagino che starete pensando che io sia tragica o altro, ma è la verità. Ho provato a ricercarne qualcuno, mi sono sforzata, ma, da quando mi è dato ricordare, non c’è nulla che mi possa far ricredere su di voi. O su di me. Non che mi aspettassi la famiglia delle pubblicità o dei film, dove tutti sorridono e si baciano e si aiutano nel momento del bisogno. Magari mi aspettavo tutte queste cose, ma in forma ridotta, umana, compatibile con la vita di tutti i giorni. Voi risponderete che ci siete sempre stati per me e che mi avete sempre voluto bene. Potreste avere ragione. Molto spesso, Madre, mi hai ricordato come io avessi una visione distorta della realtà, dato che la guardavo coi miei occhi e non oggettivamente. Potreste anche dire che ci sono famiglie peggiori della nostra, dove la gente si uccide. Tu, Padre, se così posso chiamarti, mi hai solo tirato una grattuggia contro, mi hai solo schiaffeggiato, mi hai solo distrutto parola dopo parola. Nulla per cui io possa procedere penalmente o per il quale tu possa finire sul telegiornale delle 20.00. Nulla di così insolito insomma. Vorrei ringraziarvi per l’eredità che mi avete lasciato. La sento addosso come un sudario. E non cominciate col discorso che quello che non ti uccide ti rende più forte perchè sono cinque anni che muoio ogni giorno e sento la mia forza di volontà venir risucchiata via come succo da una cannuccia. Ancora oggi mi chiedo se sarò mai in grado di costruire una famiglia. Sento l’ansia attanagliarmi perchè non voglio essere come voi, non voglio che i miei possibili figli possano subire ciò che ho subito io. E parlando di ansia vorrei ringraziarti Padre, perchè è grazie a te che da cinque anni a questa parte è diventata la mia fedele compagna. E tutto perchè è come se sentissi sempre la tua voce nella mia testa che dice:“Vedrai cosa ti farò quando torno a casa.” E non puoi immaginare cosa si potesse agitare nel mio stomaco ogni volta che sentivo la chiave girare nella serratura. Non ci sono rimedi che funzionino contro l’ansia. Mi prende e distrugge tutti i pensieri razionali che mi siano mai passati per la mente.

Ringrazio Madre perchè continua imperterrita a ricordarmi che non raggiungerò mai la sanità mentale, perchè tutto quello che vedo è influenzato, inevitabilmente, dalla mia soggettività e quindi niente sarà mai vero. E continuando sul filo della pazzia, devo ringraziarti per trattare me in maniera differente rispetto a tuo figlio, per avermi detto che non sono la figlia che tu avresti voluto, per non avermi appoggiato nei miei sogni, nei miei progetti per il futuro. Ti ringrazio, inoltre, per non aver appoggiato la mia relazione sentimentale liquidandola con una confusione sessuale. Ti ringrazio per non averci protetto, per non aver fatto la madre, per aver distrutto la mia adolescenza.

E ringrazio anche te Fratello per avermi dato le botte che non mi ha mai dato Padre, per tutte quelle frasi benevole che puntualmente mi rivolgi. Per il dolore che mi provochi ingiustamente. Ti ringrazio perchè stai diventando come lui, ma nessuno se ne accorge o nessuno lo vuole vedere, perchè molto spesso la verità fa troppa paura ed è più facile nascondersi dietro un dito. Far finta di non vedere per non assumersi le responsabilità delle proprie mancanze.

Vi chiederete perchè scrivo di questo, perchè ancora. Perchè il dolore è forte, perchè le parole fanno meno male quando le scrivo, i sentimenti sembrano meno vividi. Scrivo per dimenticare, per far pace con me stessa. Per capire di non essere l’unica persona a questo mondo a sentirsi fuori posto, a sentirsi male. Molto probabilmente queste sono ferite che non si rimargineranno mai e molto probabilmente non avrò mai la forza di perdonare, ma forse riuscirò a lasciarmi tutto alle spalle, a capire che la vita non è dolore, che forse anche io ho qualche speranza pur essendo nata sotto una cattiva stella.

Di tutto un po'.

R di Rivoluzione, U di Unità.

Riassunto delle puntate precedenti:

Mia madre lavora in un bed & breakfast. Fa orari assurdi ed è sottopagata. Si sposta tutti i giorni da casa nostra fino a San Siro, con dispendio di energie e soldi dei vari abbonamenti. Quindi sta cercando di trovare un lavoro worth while.

Mia zia chiama mia nonna e le dice che, qui vicino, cercano una badante diurna per una donna anziana, ancora in forze, ma affetta da demenza senile. Mia nonna, tutta contenta, chiama mia madre che le chiede di fissare un colloquio con la famiglia in questione. Mia nonna scopre che sabato (ovvero ieri) i tizi in questione devono incontrare anche un’altra donna, sempre per la stessa mansione obviously. Allora, visto che mia madre lavora tutto il giorno, mia nonna si arma e va al fronte. A questo punto c’entra anche un funerale, ma non ho ben capito perchè e in che senso. Comunque arriva davanti al negozio e aspetta che i tizi aprino (hanno un negozio di scarpe tra parentesi). E lì l’amara scoperta. La badante della tizia morta durante il funerale è stata assunta per la posizione da loro ricercata. “Ma mi lasci il numero” dice il signore. “Se non va bene la chiameremo.”

Potrebbe sembrare una storia come un’altra. La sfiga la chiamerebbe qualcuno. Il destino qualcun altro. Non per mia nonna, però, perchè la signora in questione è straniera. E qui inizia lo scandalo. Al telefono ha detto tante di quelle parolacce che, essendo io una persona perbene, non ripeterò, ma erano abbastanza terrificanti. E questi sono i momenti in cui spero di essere stata adottata e che i miei genitori in realtà siano ora in Nuova Zelanda a struggersi per aver deciso di non crescere la loro figlioletta adorata.

Quello che mi disturba è la miopia con cui le cose vengono viste. Non è il problema degli stranieri che vengono in Italia a rubarci il lavoro.

[Anche perchè, e qui apro una piccola parentesi che vi prometto di chiudere velocemente, la maggior parte dei lavori svolti dagli immigrati sono lavori che oggi gli italiani non vogliono fare più. Poi, ovvio, so anche io che un immigrato costa meno di un italiano, magari specializzato, ma questo non vuol dire che sono loro ad abbassare i salari degli italiani, come mi è stato detto, ma che il mercato del lavoro italiano è fatto, per lo più, di approfittatori. E gli approfittatori sono quelli che ti dicono “Tanto se lasci questo posto di lavoro là fuori non troverai nulla”.]

Il problema è a monte, è il mercato del lavoro che ci spinge a mangiarci gli uni con gli altri neanche fossimo belve nella foresta. È il mercato del lavoro che ti spinge ad accettare lavori pagati una miseria perchè almeno qualcosina lo porti a casa. È il mercato del lavoro che ti chiede un’esperienza minima di due anni quando ne hai solo diciotto e fino all’altro ieri stavi ancora studiando.

È lo stato che non ci dà nessun aiuto, nessuna garanzia, nessuna possibilità di poterci costruire un futuro che possa anche solo essere chiamato decente o vivibile. Loro ci guardano dai loro comodi scranni, sorridono e aspettano. E sapete cosa aspettano con la pazienza del miglior predatore della savana? Che arriviamo a scannarci. Manca pochissimo. Manca pochissimo e perderemo anche quel poco di civilità che ci differenzia dagli animali. E poi ci sarà la fine. L’implosione sarà inevitabile e il paese, che già crolla a pezzi, si disintegrerà completamente. E saremo noi a pagarne le spese. Non la gente che abbiamo votato e che ora siede lì, comoda e al calduccio.

Non sono una fautrice di rivoluzioni perchè penso che la maggior parte delle volte siano state strumentalizzate dalle classi emergenti (vedi il ruolo della borghesia all’interno della rivoluzione francese) per poter ribaltare la situazione e prendere il potere, ma forse noi non corriamo questo rischio dato che di emergente c’è ben poco nel nostro paese. Perciò se proprio dobbiamo scannarci, urlare e sbraitare che il mondo e il destino sono stati ingiusti con noi, facciamolo rivolti nella giusta direzione. Facciamolo dimenticandoci la nostra appartenenza regionale, ma ricordandoci che siamo tutti italiani, che se diventassimo una sola voce il nostro ruggito si sentirebbe di più, farebbe tremare il mondo.

E se decidiamo di scendere in piazza e lottare pacificamente per i nostri diritti e per la giustizia, ricordiamoci di oleare la ghigliottina.