Non posso addormentarmi, non posso addormentarmi proprio ora. E mentre cercavo di tenere gli occhi aperti e fissarli intensamente su una crepa seguendone il percorso lungo il soffitto, lui si avvicinò al mio orecchio e sussurrò:”Ti piace, vero?”Odiavo quelli a cui piaceva parlare. Ora avrebbe anche cominciato a chiedermi quali fossero le mie fantasie o se mi sentivo la sua troietta? “Sì, sì, continua”, gli risposi io cercando di non aggrottare le sopracciglia. Abbassai lo sguardo sui nostri corpi e mi accorsi che il suo cazzo era già dentro di me. Come era possibile che io non sentissi nulla? Eppure stava muovendo i fianchi e grugniva, lui sicuramente si stava divertendo.
Non ti addormentare, non ti addormentare. Non è educato addormentarsi mentre qualcuno pensa che tu te la stia spassando. Cercai di pensare ad altro. Avevo spento la luce del bagno prima di uscire di casa? Mi sembrava di sì, ma ora non ne ero più così sicura. Se avesse finito in fretta avrei potuto inventare un impegno inderogabile e sarei potuta tornare a casa, dove nessuno mi obbligava a fingere di divertirmi. Ma quanto gli ci voleva? I suoi fianchi continuavano a pompare senza sosta. Di solito il problema era l’eiaculazione precoce e quegli uomini che – dopo neanche trenta secondi – si svuotavano le palle e sostenevano che non era colpa loro, ma che io ero troppo bella e loro non erano stati in grado di resistere. Sì, certo, come no. E proprio quando avrei voluto che tutto finisse il più velocemente possibile, questo tizio voleva a tutti i costi dimostrarmi cosa volesse dire resistenza. Quanto tempo era passato? Cinque minuti? Dieci? Ero morta e mi ero reincarnata?
Qualcuno si era mai sfilato con un cazzo dentro così all’improvviso? Si sarebbe rotto se mi fossi mossa troppo in fretta? A quel punto, almeno, avrebbe smesso. Solo che poi sarei stata socialmente obbligata a soccorrerlo e questo avrebbe ritardato il mio rientro a casa. Ma almeno avrei potuto scrivere sul curriculum: una volta sono riuscita a rompere un cazzo e non metaforicamente. Avrei potuto inserirlo nella sezione degli interessi o delle abilità personali.
“Oh lo sento, questo è il tuo punto g”. Eh? Ma è drogato? Neanche io so dove sia il mio punto g e lui è sicuro di averlo trovato. Cristo santo. Il mio silenzio sembrava innervosirlo, come se avessi dimenticato la mia battuta e un intero pubblico ci stesse guardando con tanto d’occhi, pronto a fischiare la nostra interpretazione e lanciarci pomodori troppo maturi. Sentivo che aveva bisogno di una risposta, di una rassicurazione. È uno di quelli, mi dissi, uno di quelli che anche se il tuo respiro cambia leggermente hanno bisogno di sapere che sono i migliori amanti che tu abbia mai avuto. Cristo santo. “Oh sì, è proprio lì”, lo incitai. Ecco perché i copioni dei film porno sono inverosimili. Ti senti parlare e l’unica cosa che pensi è: ma che cazzo sta dicendo questa idiota? Forse se avessi iniziato a gemere lui avrebbe creduto ad un orgasmo e si sarebbe sentito libero di venire e la tortura sarebbe finita e io sarei stata libera di tornare a casa. Finsi un orgasmo destabilizzante, il più profondo e poetico che la mia mente avesse mai potuto concepire. Aggiunsi anche qualche ti prego ogni tanto, giusto per variare sul tema e renderlo credibile. Tremavo in tutto il corpo, ero in preda alla più devastante frenesia. Se mi fossi vista dall’esterno mi sarei applaudita per la magistrale interpretazione. Lui, d’altro canto, sembrava concentrato come un atleta durante la maratona: sempre lo stesso ritmo un passo dopo l’altro e io cercai di trattenere uno sbadiglio. Era stata una giornata lunga, stressante e pesante e io avevo immaginato che chiuderla con un po’ di sesso sarebbe stata una buona idea, mi avrebbe aiutato a rilassarmi. E invece sentivo che – più quella pantomima andava avanti – più ero sull’orlo di una crisi di nervi. Il finto orgasmo mi aveva davvero stancato e sentivo pizzicarmi la gola per quegli urletti senza senso. Mi accasciai sul cuscino senza fiato, come se fossi reduce da una corsa per fuggire ad un maniaco seriale. Lui si interruppe per un paio di secondi, giusto il tempo di guardarmi. “Hey bambola, abbiamo appena iniziato”. Che cosa? O Cristo in croce non puoi farmi questo, no davvero. Cosa ho fatto di male? Cosa ho sbagliato? Ma non ottenni nessuna risposta, anche se rivolsi gli occhi al cielo. Cercai di non soffermarmi troppo su quel bambola buttato lì così, come se fosse normale chiamare una donna in quel modo, perché se no gli avrei vomitato addosso. E lui – decisamente incapace di comprendere il mio vero stato d’animo – riprese a spingere come se avesse tutto il tempo del mondo, come se io mi stessi realmente divertendo. Che le divinità mi assistano se ora non lo uccido. Sul comodino c’erano le chiavi della stanza, appuntite e metalliche. Avrei potuto infilzargliele in un occhio e forse si sarebbe fermato e io sarei potuta scappare, lasciarlo lì ad urlare per il dolore. In fondo non gli avevo detto neanche il mio vero nome, non avrebbe potuto rintracciarmi, sarei rimasta un’ombra, una signora nessuno. Per sicurezza avrei potuto tingermi i capelli di un altro colore e usare lenti colorate per gli occhi. Chi avrebbe mai potuto trovarmi? Sarei rimasta impunita, lui avrebbe smesso di abbordare giovani donne annoiate ai banconi del bar, avrebbe imparato la lezione e si sarebbe chiuso in un monastero benedettino per riflettere sulla sua vita dissoluta e convertirsi alla parola del Signore. In fondo, avremmo vinto tutti se solo fossi stata incline alla violenza. Purtroppo non ero così fortunata. Quando riportai lo sguardo sul suo volto trattenni un’imprecazione. Cosa mi aveva attirato di quel viso pallido, di quella fronte alta e di quegli occhi castani? Non avevamo scambiato molte parole, ma sembrava divertente, un uomo alla mano, che sapeva quello che stava facendo e quello che voleva. Avevo sempre avuto un debole per gli uomini così. Solo che poi stranamente si rivelavano sempre una truffa ben vestita. Uomini del cazzo. Sembrava un robot mentre con lo sguardo concentrato e le palpebre socchiuse continuava a sbattere i fianchi contro i miei. Domani mi farà male il bacino, farò fatica a sedermi, sarò costretta a ricordare questo stronzo per chissà quanti giorni. Maledetto bastardo. “Posso continuare così per ore” e lo annunciò con una voce così volutamente suadente e sensuale che non potei più sopportarlo. E che cazzo. Quello stronzo cercava di fare il Rodolfo Valentino con me, mentre io facevo di tutto per non addormentarmi. Gli rifilai una, due, tre ginocchiate sulla schiena prima che lui si accorgesse che il mio intento era fargli male e non dimostrargli il mio apprezzamento sessuale. Avrei zoppicato il giorno dopo, già lo sentivo. Lui, però, finalmente si fermò, come pietrificato dal mio gesto inaspettato. Vedevo la sua maschera di sicurezza sgretolarsi un secondo dopo l’altro, aveva perso il controllo della situazione e lo sapeva. Non c’era più nulla che avrebbe potuto fare o dire per convincermi che lui fosse l’uomo che avevo sempre sognato di conoscere. Mi accorsi presto che – se non avessi fatto qualcosa – presto mi avrebbe schiacciato col suo stesso corpo e io non avrei avuto scampo. “Ti vuoi levare dal cazzo?”, sbraitai esasperata. Al mio tono aggressivo, lui strabuzzò gli occhi incontrando il mio sguardo furioso e si scostò da me, massaggiandosi il punto dolorante. Approfittai della sua confusione per vestirmi in fretta e furia, indossare scarpe e cappotto e dirigermi alla porta come se la stanza stesse andando in fiamme.
“Ma avevi detto che ti piaceva!” piagnucolò lui ancora rannicchiato nel letto. “Oh cristo santo”, sbottai io chiudendomi la porta alle spalle.