Spruzzi di creatività

Sotto terra.

Claustrofobia. Questa è la prima cosa che ho pensato quando mi sono svegliata in una bara. Fiato corto. Fiato sempre più corto. L’aria che si assottiglia in uno spazio così piccolo. Dannata claustrofobia. E dannata bara. Sono viva o morta? Mi tasto il polso alla ricerca del battito. Dopo alcuni attimi di terrore sento la vena pulsare. Pulsa troppo perché io sia morta. Ma se sono viva che cazzo ci faccio qui? Deve essere uno sbaglio. O un incubo. Anche perchè come faccio ad essere sicura che sia una bara? Mi pizzico per svegliarmi, ma la situazione non cambia. Tocco le pareti intorno a me e sembra legno. Molto presto l’aria diverrà anidride carbonica e io morirò. La prospettiva è allettante, vero? Sento qualcosa di caldo e viscoso scivolare lungo la gamba. Tasto la coscia e impreco per il dolore. Chi cazzo mi ha conficcato una freccia nella gamba? Non posso toglierla, a meno di non voler morire dissanguata. Almeno questo è quello che mi ricordo dai pochi film d’azione che ho visto. O dalle puntate di Dr. House viste a ripetizione su Italia Uno. Una dannata freccia e una dannata bara. Ma chi usa frecce nel ventunesimo secolo? Troppo anche per me. È impossibile aprire una bara dall’interno senza qualcosa di affilato. Sarebbe inutile sprecare energie cercando di rompere il coperchio a suon di pugni.
È la fine dunque. Morirò soffocata dalla mia stessa anidride carbonica. Abbastanza surreale. Un po’ come me.
Lascio tutti i miei averi al mio cane, recito mentalmente. Non ho un cane, ma meglio un qualsiasi cane che la mia famiglia. Anche uno pieno di pulci e con la rabbia. La rabbia si può attaccare attraverso il morso, vero? Ecco. Lascerò la mia misera eredita al primo cane che attaccherà la rabbia alla mia famiglia. Ha preso nota, notaio? Ah già. Dimenticavo. Sono in una cazzo di bara e non c’è nessuno che possa scrivere e autenticare le mie ultime volontà. Chissà se hanno avuto tempo di scavarmi anche una fossa abbastanza profonda. Almeno tre metri se non vogliono che la mia bara e il mio corpo putrefatto vengano ritrovati da qualche parte da un passante distratto. Chissà dove sono. Spero che abbiano scelto un bosco pieno di pini odorosi per seppellirmi. Un bosco pieno di pini odorosi è una pineta, vero? Almeno non sarò costretta a sentire il puzzo di marcio proveniente dalla mia carne in decomposizione.
Un rumore improvviso mi fa rizzare le orecchie. Con un sobbalzo il coperchio si apre. La luce ferisce i miei occhi e impiego un paio di minuti per riabituarmi alla luminosità artificiale di un neon solitario.
“È ancora viva.” La voce di un uomo rimbomba nella stanza vuota che, dopo un’occhiata incerta, mi sembra un capannone industriale. Una donna si sporge e io ne vedo il viso. “Dannazione! L’erba cattiva non muore mai.”
“Buongiorno madre.” La mia voce sembra uscita dalle viscere della terra.

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